PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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30.12.11

HandPAGE: Coltivare l'assertività: una strana via di mezzo

“Un comportamento assertivo promuove
l’uguaglianza nei rapporti umani,
mettendoci in grado di agire nel nostro migliore interesse,
di difenderci senza ansia,
di esprimere con facilità e onestà le nostre sensazioni,
di esercitare i nostri diritti senza negare quelli degli altri”
 (Alberti Emmons)

        Per chi si occupa di comunicazione  parlare di assertività non è certo una novità. Ma al di là della parola, del lemma "assertività" che, se appartiene al lessico tecnico dei formatori o degli psicologi, difficilmente appartiene al linguaggio quotidiano, più comune, il suo contenuto simbolico interessa tutti. Nessuno di noi si interrogherrebbe in modo spontaneo su cosa voglia dire essere assertivi. Eppure a tanti può capitare di non riuscire ad esprimere le nostre idee con convinzione, con sicurezza. Oppure travolgiamo gli altri con le nostre parole, "aggredendole" semplicemente perchè chi abbiamo di fronte in quel momento non è in grado di reggere il confronto e opporre altrettanta forza. 
       In qualità di individui immersi in una molteplicità di contesti, familliare, professionale,  sociale in senso ampio, siamo esposti a stimoli e "forze" che si inseriscono nelle nostre traiettorie di vita, nelle nostre scelte, e quindi nel nostro modo di rapportarci con gli altri. Coltivare l'assertività è un po' come cercare un equilibrio tra il rispetto per se stessi, per quello che in quel momento siamo in grado di dare, di comunicare, e il rispetto per gli altri, per quello di cui hanno bisogno, per quello che possono dare. Ci siamo noi, con il nostro vissuto, obiettivi, esigenze, compiti etc, e ci sono gli altri, anche loro con il loro vissuti, esigenze, compiti etc. Nella relazione con gli altri tutto il nostro essere incontra tutto l'essere dell'altro. Complessità che si incontrano. Il primo passo per rispettare gli altri è perciò rispettare se stessi. Riconoscersi parte attiva di un processo comunicativo per considerare anche l'altro una parte attiva. Tra l'affermare le proprie idee senza ascoltare e metterle alla prova e lo stare in silenzio o ribattere con voce fioca e stentata, tra il fare a modo nostro a prescindere dalle considerazioni, dai suggerimenti altrui e l'assoggettarsi o il dipendere totalmente dalle valutazioni altrui si può cercare una "via di mezzo". Non un compromesso ma un approccio che ci orienta ad ascoltare gli altri senza dimenticare noi stessi e viceversa. 
        E siccome non siamo tutti uguali, la via di mezzo non sarà mai la stessa, ma andrà cercata, con spirito di osservazione, sensibilità e onestà intellettuale, di volta in volta, ad hoc, nella specificità di una relazione con il partner, l'amico, il collega, il capo. Cercare di essere assertivi significa cominciare a pensare e promuovere la nostra autonomia di scelta e responsabilità d'azione e al contempo quella altrui evitando situazioni di prevaricazione, soggezione o dipendenza. Significa imparare a fare critiche costruttive per l'altro e non lesive, ma anche imparare ad accettarle e a leggerle in modo costruttivo e non come attacchi. Significa coltivare l'autostima e il riconoscimento della dignità altrui, vivere le proprie emozioni e riconoscere quelle altrui in modo empatico, cercare il proprio spazio in mezzo agli altri attraverso il dialogo senza cedere nè all'imposizione sugli altri nè al soccombere agli altri. Così pensata, l'assertività non vuole essere la favoletta del "vogliamoci tutti bene", ma la base concettuale per rapporti umani in cui la conflittualità sia un dinamica sana e non una tendenza incontrovertibile, in cui l'aggressività è un comportamento possibile ma modificabile, non l'unico modo di avvicinarsi alle esperienze, in cui la paura sia una naturale difesa e non un alibi per non affrontare con impegno i propri limiti. 


       
       Consiglio di approfondimento: Robert E. Alberti e Michael L. Emmons. Essere assertivi. Come imparare a farsi rispettare senza prevaricare gli altri. Il Sole 24 Ore, 2003.

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