Fino a qualche tempo, nella vicinissima epoca pre-digitale..hehe.. rovistando nei cassetti, sistemando libri accatastati, rimescolando carte sparse sulla scrivania, capitava di rinvenire qualche piccolo souvernir del passato, foto, cartoline, vecchi diari, insomma oggetti dimenticati...
Nel 2011, invece, si puliscono hardware e si scoprono file che non si immaginava più di avere...e voilà spuntano gli unici post che mi restano della mia prima esperienza come blogger. Durò solo pochi mesi, lo cancellai per rabbia con un gesto istintivo che in quel momento aveva un valore simbolico, un taglio. Ma mi pentii. Avevo cancellato una parte di me. Non so quanto sia meglio affidare al digitale invece che alla carta stampata i propri pensieri, ma devo riconoscereche se scrivi per passione, la sensazione non muta. La scrittura, soprattutto quella creativa, calda, emotiva, personale, ci mette a nudo. Non significa stare in piazza, significa donare una parte di sè.
Ecco che ritrovare qualche vecchio post dentro un cd di back up mi ha emozionato. Era la fine del 2006...
16 settembre 2006
Perchè la danza?
Avevo tre anni e mezzo quando ho messo piede su un palcoscenico ed era
quello del Teatro Nuovo, il teatro che nella mia amata e odiata Torino evoca
immediatamente il mondo della danza. Oggi ho 27 anni e ogni volta che le luci
dei reflettori si accendono sui miei passi dentro si rinnova un'emozione senza
tempo, sempre la stessa, ma sempre inebriante...ma la danza è nella mia vita
qualcosa di più profondo di un piccolo momento di gloria ..la danza è un
viaggio verso la libertà interiore che rivaluta il senso di una quotidianeità
non più banale, ma vitale nel suo farsi "passo" verso un equilibrio
forse mai raggiunto, ma ricercato...
La danza è come una poesia...fatta di rime ben costruite, assonanze
scoperte, ritmi inseguiti ...c'è una tecnica...e quando mi appoggio alla sbarra
ritrovo come una mano benigna che mi insegna a stare in piedi, mi aiuta a
camminare, ad alzarmi quando cado, a correre con forza, a fermarmi con fiducia,
a non disperare, ad accettare i miei limiti, a giocare con le catene che
rischiano di soffocarmi ...
2006
19 novembre
Oggi c'è vento
Da qualche parte bisognerà pur
cominciare e per far onore alle menti che ci hanno preceduto si comincia sempre
dai classici ovvero il classico ipse dixit e poi spesso si finisce per capire
quanto siano superati. Il mondo va, anzi, ora più che mai corre più veloce di
noi poveri tapini che ci dimeniamo per inseguire il tempo tiranno che ci scorre
via tra le mani senza neanche darci più il tempo di pensare dove andiamo. E se
poi ci capita di farlo, ce ne pentiamo. Non andiamo da nessuna parte, giriamo e
rigiriamo sbattendo sempre contro la stessa verità, non siamo immortali e nulla
cambia questo dato di fatto. Abbiamo inventato la gloria e e quant'altro per
far vivere a lungo i morti.
Cos'è la vita continuiamo a chiedercelo
filosofeggiando ora come 2000 anni fa e vomitiamo parole su parole e poi
facciamo fatica a dire un semplice grazie davanti ad una cortesia. Non serve
essere gentili, serve essere efficienti, competitivi, spendibili sul mercato,
con curricula chilometrici e spirito da abitante della giungla. Diamo i nobel
per la pace, ma amiamo la guerra che facciamo a chi ci pesta i piedi perché
minaccia le nostre carriere.
Che uomini e donne vogliamo essere? E sei un
ingenuo se per un momento speri che il mondo possa migliorare, nessuno ha
intenzione di migliorare il mondo, ma esistono opere benefiche, associazioni no
profit e via discorrendo. Quanta filantropia, ma poi è il volto, neanche troppo
nascosto, di un buonismo opportunista per sentirci importanti, per far vedere
che ci adoperiamo, che contiamo. Le aziende supportano progetti umanitari, ma
l'uomo che si cela dietro un collega, non conta, è un'umanità troppo vicina, il
bene è più facile farlo a distanza, quasi desse più onore pensare a qualcuno
che sta male in lontananza e questa lontananza aumenta l'onore dell'aiuto. Ma
se qualcuno a fianco a noi si è smarrito non è affar nostro. La dimensione
della nostra umanità oggi viaggia sulla distanza. Distante è bello! E allora
via con rapporti e amicizie tenute bene a distanza, un doveroso rispetto per la
privacy, ma quali sono i confini tra pubblico e privato? I corpi certo non sono
più affar privato, ma alla mercè di chi fa più promesse, posizioni altolocate,
grandi amatori, centri di eterna giovinezza.
Ma la gioia di condividere lacrime
e sorrisi, sconfitte e vittorie, cibo e bevande, pensieri e opinioni e far
crescere una comunità intorno a noi , non conta, conta il villaggio globale,
conta la visiblità, contano i ganci, le mode , le emozioni superficiali. Ma non
si costruisce più nulla perchè duri, solo quel tanto che basti finchè ci va,
finchè non scatta la noia, finchè non diventa troppo impegnativo stabilire un
legame e spendersi un po' di più per mantenerlo. Niente legami, niente
responsabilità, niente rischio. Del resto giochiamo in un modo precario, non
molto diverso dalla virtualità di una chat. Le parole volano come foglie al
vento e quello che dici a una persona lo raccoglie qualcun altro. I perchè
suonano fastidiosi, ci sfuggono quando li cerchiamo, fuggiamo quando dobbiamo
scioglierli noi. Mi chiedo che umanità vogliamo, che futuro vogliamo, che
società. Non c'è più nazione, ma un cosmopolitismo da macdonald, non c'è più
famiglia, ma convivenze co.co.co, non c'è più valore, ma profitto. E se vuoi
dire "basta", ti si risponde "ancora", ancora tecnologia,
ancora incertezza, ancora precarietà, ancora ambiguità.
quoto tuttoo!
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