PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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30.11.11

HandPAGE: Tracce digitali in fondo al cassetto

Fino a qualche tempo, nella vicinissima epoca pre-digitale..hehe.. rovistando nei cassetti, sistemando libri accatastati, rimescolando carte sparse sulla scrivania, capitava di rinvenire qualche piccolo souvernir del passato, foto, cartoline, vecchi diari, insomma oggetti dimenticati...
Nel 2011, invece, si puliscono hardware e si scoprono file che non si immaginava più di avere...e voilà spuntano gli unici post che mi restano della mia prima esperienza come blogger. Durò solo pochi mesi, lo cancellai per rabbia con un gesto istintivo che in quel momento aveva un valore simbolico, un taglio. Ma mi pentii. Avevo cancellato una parte di me. Non so quanto sia meglio affidare al digitale invece che alla carta stampata i propri pensieri, ma devo riconoscereche se scrivi per passione, la sensazione non muta. La scrittura, soprattutto quella creativa, calda, emotiva, personale, ci mette a nudo. Non significa stare in piazza, significa donare una parte di sè.
Ecco che ritrovare qualche vecchio post dentro un cd di back up mi ha emozionato. Era la fine del 2006...





16 settembre 2006
Perchè la danza?
Avevo tre anni e mezzo quando ho messo piede su un palcoscenico ed era quello del Teatro Nuovo, il teatro che nella mia amata e odiata Torino evoca immediatamente il mondo della danza. Oggi ho 27 anni e ogni volta che le luci dei reflettori si accendono sui miei passi dentro si rinnova un'emozione senza tempo, sempre la stessa, ma sempre inebriante...ma la danza è nella mia vita qualcosa di più profondo di un piccolo momento di gloria ..la danza è un viaggio verso la libertà interiore che rivaluta il senso di una quotidianeità non più banale, ma vitale nel suo farsi "passo" verso un equilibrio forse mai raggiunto, ma ricercato...
La danza è come una poesia...fatta di rime ben costruite, assonanze scoperte, ritmi inseguiti ...c'è una tecnica...e quando mi appoggio alla sbarra ritrovo come una mano benigna che mi insegna a stare in piedi, mi aiuta a camminare, ad alzarmi quando cado, a correre con forza, a fermarmi con fiducia, a non disperare, ad accettare i miei limiti, a giocare con le catene che rischiano di soffocarmi ...

2006 19 novembre
Oggi c'è vento
Da qualche parte bisognerà pur cominciare e per far onore alle menti che ci hanno preceduto si comincia sempre dai classici ovvero il classico ipse dixit e poi spesso si finisce per capire quanto siano superati. Il mondo va, anzi, ora più che mai corre più veloce di noi poveri tapini che ci dimeniamo per inseguire il tempo tiranno che ci scorre via tra le mani senza neanche darci più il tempo di pensare dove andiamo. E se poi ci capita di farlo, ce ne pentiamo. Non andiamo da nessuna parte, giriamo e rigiriamo sbattendo sempre contro la stessa verità, non siamo immortali e nulla cambia questo dato di fatto. Abbiamo inventato la gloria e e quant'altro per far vivere a lungo i morti.
Cos'è la vita continuiamo a chiedercelo filosofeggiando ora come 2000 anni fa e vomitiamo parole su parole e poi facciamo fatica a dire un semplice grazie davanti ad una cortesia. Non serve essere gentili, serve essere efficienti, competitivi, spendibili sul mercato, con curricula chilometrici e spirito da abitante della giungla. Diamo i nobel per la pace, ma amiamo la guerra che facciamo a chi ci pesta i piedi perché minaccia le nostre carriere.
Che uomini e donne vogliamo essere? E sei un ingenuo se per un momento speri che il mondo possa migliorare, nessuno ha intenzione di migliorare il mondo, ma esistono opere benefiche, associazioni no profit e via discorrendo. Quanta filantropia, ma poi è il volto, neanche troppo nascosto, di un buonismo opportunista per sentirci importanti, per far vedere che ci adoperiamo, che contiamo. Le aziende supportano progetti umanitari, ma l'uomo che si cela dietro un collega, non conta, è un'umanità troppo vicina, il bene è più facile farlo a distanza, quasi desse più onore pensare a qualcuno che sta male in lontananza e questa lontananza aumenta l'onore dell'aiuto. Ma se qualcuno a fianco a noi si è smarrito non è affar nostro. La dimensione della nostra umanità oggi viaggia sulla distanza. Distante è bello! E allora via con rapporti e amicizie tenute bene a distanza, un doveroso rispetto per la privacy, ma quali sono i confini tra pubblico e privato? I corpi certo non sono più affar privato, ma alla mercè di chi fa più promesse, posizioni altolocate, grandi amatori, centri di eterna giovinezza.
Ma la gioia di condividere lacrime e sorrisi, sconfitte e vittorie, cibo e bevande, pensieri e opinioni e far crescere una comunità intorno a noi , non conta, conta il villaggio globale, conta la visiblità, contano i ganci, le mode , le emozioni superficiali. Ma non si costruisce più nulla perchè duri, solo quel tanto che basti finchè ci va, finchè non scatta la noia, finchè non diventa troppo impegnativo stabilire un legame e spendersi un po' di più per mantenerlo. Niente legami, niente responsabilità, niente rischio. Del resto giochiamo in un modo precario, non molto diverso dalla virtualità di una chat. Le parole volano come foglie al vento e quello che dici a una persona lo raccoglie qualcun altro. I perchè suonano fastidiosi, ci sfuggono quando li cerchiamo, fuggiamo quando dobbiamo scioglierli noi. Mi chiedo che umanità vogliamo, che futuro vogliamo, che società. Non c'è più nazione, ma un cosmopolitismo da macdonald, non c'è più famiglia, ma convivenze co.co.co, non c'è più valore, ma profitto. E se vuoi dire "basta", ti si risponde "ancora", ancora tecnologia, ancora incertezza, ancora precarietà, ancora ambiguità.

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