PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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25.1.12

iPoLLiCiNi/HandPAGE: Autostima Variabile

di Loris Gava
  
Saper vivere all’interno di una comunità deriva da una profonda analisi volta alla comprensione della “posizione” che dobbiamo ricoprire in essa.
Se pensiamo attentamente a una qualsiasi fase della nostra vita o di individui che conosciamo approfonditamente, ci accorgeremo che per appropriarci di quanto “somministrato” dalla comunità dobbiamo acquisire un ruolo, qualsiasi esso sia.
Scrutando un gruppo di bambini che gioca tranquillamente a nascondino potremmo notare come alcuni individui saranno quasi sempre indicati per iniziare la conta, nell’ambiente lavorativo ci saranno individui che portano il proprio punto di osservazione come punto di riferimento nel gruppo; in un gruppo di vecchietti intenti a giocare a carte ci sarà sempre qualcuno che verrà additato per la giocata che ha fatto perdere la partita.
Ma cosa rende possibile il fatto che in qualsiasi gruppo spontaneo o comunità naturalmente creatasi o in un’aggregazione casuale vi siano delle posizioni dominanti o recessive?
Se ponessimo individui dalle potenzialità simili a confronto, quale sarebbe la molla che romperebbe l’equilibrio dividendo chi comanda da chi è comandato?
Nel pensare a quei gruppi spontanei di bambini che si ritrovano a giocare a nascondino, dove non vi è un’influenza superiore di un adulto o di un sistema di regole che determini posizioni dominanti e recessive, la molla che rompe quest’equilibrio è la capacità di capire, da parte dei bambini, se i propri mezzi sono “adatti” per avere il predominio su gli altri.
Si determina così negli individui che diverranno dominanti la consapevolezza che le proprie capacità avranno un peso tale da indurre il maggior numero di persone a “convergere” dalla loro parte.
C’è nell’autoconsapevolezza una capacità enorme di tarare le proprie competenze, conoscenze, esperienze, rispetto al resto degli individui che costituiscono il resto del gruppo; chi non sa valutare precisamente le proprie potenzialità potrebbe assumere inizialmente una posizione di rilievo per sprofondare immediatamente al primo conflitto avuto con un compagno.
Nel concetto di autostima avviene una sorta di ricerca simile all’autoconsapevolezza con la differenza che alle caratteristiche appurate o diamo un valore sempre positivo o le archiviamo come “cose che potrebbero ledere la mia autostima”.
Avendo l’autostima un’accezione positiva dobbiamo, infatti, ricercare aspetti che all’interno delle cose che riteniamo importanti abbiano un valore positivo; per eccesso, un killer spietato potrà fondare la sua autostima sul fatto che negli ultimi mesi ha avuto un incremento delle proprie vittime o, tornando ad esempi meno cruenti, una persona si sentirà generosa in quel particolare momento se al mendicate che staziona sotto l’ufficio donerà cinquanta centesimi in più rispetto al solito o ancora, si sentirà un padre migliore se, alla sera, al posto di passare un’ora con i suoi figli riuscirà a introdurre un quarto d’ora in più sottraendoli alla sua passione: la filatelia!
Chi lavora nel sociale descrive come nei casi più difficili vi sia una sorta di “mal comune”: la mancanza di autostima.
Frasi del tipo dovresti vivere più serenamente o dovresti pensare alle cose belle, vengono pronunciate dalle nostre bocche molte più volte di quanto immaginiamo; quando le pronunciamo, se realmente interessati al caso, proviamo un misto tra compassione, comprensione e disponibilità verso la persona in questione.
Facendo questo, in quel preciso momento, ci assumiamo la responsabilità di dire agli altri cosa fare e inconsciamente o involontariamente assumiamo una posizione di dominio.
Se volessimo leggerla a parti invertite, colui che ci ascolta e cerca di trovare le cose positive che percorrono la sua vita ha già decretato il fatto di essere in difficoltà e di assumere una posizione di bisogno, recessiva.
Ancora, nell’analisi di “produzione di autostima” devo abbassare le mie pretese: se pensavo di poter vivere il resto dei miei giorni in un attico, ecco che dovrò essere felice del monolocale dove abito attualmente.
Potenzialmente anche un senzatetto potrebbe nutrire una forte autostima valutando la propria situazione locativa in quanto ha trovato un angolino sotto un porticato dove non piove  e tira poco vento.
Ecco che l’autostima potrebbe essere chiamata anche con un altro nome ad esempio: accorgersi finalmente dove si è ed essere felici di dove ci si trova.
Il problema, forse, non sta tanto nel non accettare il ruolo che nella società o comunità o aggregazione o gruppo si ha, ma nell’aver capito che, se siamo lì, è perché ce lo meritiamo o le stelle erano avverse.
Non c’è niente di più variabile!

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Ho sempre sognato di dirigere un locale, 
dove nell’angolo sorgesse un piccolo palco, ma grande abbastanza per far stare una batteria, un violoncello e un sax.
E che il giorno dopo, sullo stesso palco, 
ci fosse una sedia e 
uno sopra che legge una poesia. 
Per ora sono enologo e cerco di fare il vino per quel locale.
Loris Gava


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