PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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13.7.12

HandPAGE: Dialoghi improbabili


Era più che evidente il suo nervosismo. Tra l’altro, quella di mordersi le unghie doveva essere un’abitudine faticosamente conquistata. Forse aveva trovato il modo più veloce ed economico, per quanto poco elegante, di rendere innocue le sue emozioni più distruttive. Combatteva così i suoi fantasmi, implacabili nella puntualità con cui si presentavano alla sua mente. Un’insistenza morbosa che consumava quelle cellule umane fino alla radice, fino a farsi male. Eppure c’era qualcosa di piacevole in quel suo auto cannibalismo contenuto.  

Era seduto di fronte a me e avrei voluto più di una volta interrompere quel lungo silenzio che accompagnò il nostro viaggio, insieme per ben quattro ore. Strano pensare che fossimo compagni di viaggio. Dall’esterno nessuno l’avrebbe mai pensato, non una parola, neppure per sbaglio.  Ci si guardava, sì, ci si studiava, forse. Quel silenzio era voluto, da lui quanto meno. Il mio silenzio era l’unica conversazione possibile. Leggeva a perdifiato appunti fitti e ben costruiti, stralci di giornale stampati per poi sottolineare, cerchiare, appuntare, disegnare frecce, come uno studente modello che si prepara ad un’interrogazione importante. Lui doveva presentare un libro, chissà dove, chissà in quale città.  Aveva gli occhi ludici, anche un po’ rossi. Probabilmente aveva trascorso la notte a prepararsi per il grande giorno. Ed era evidentemente emozionato per quell’incarico.

Si trincerò tutto il tempo dietro i suoi libri, i suoi fogli, e con una precisione metodica, quasi compulsiva, metteva ordine tra le sue cose, nel suo mondo inavvicinabile. Gli altri due posti erano vuoti ed io non  avevo bisogno di appoggiare alcunché. Il tavolino del treno, al centro dei quattro posti a sedere, era quasi interamente suo. A destra aveva impilato con rigore, oserei dire geometrico, una carpetta arancione, un quotidiano e due libri di diverso spessore. Quello sotto non avrà avuto più di cento pagine. Un librettino, insomma. Forse. L’altro, più verboso, sovrastava.  A fianco il cellulare, pronto all’uso. 

Con la punta delle dita, lunghe, lunghissime, nodose e amaramente mordicchiate, riallineava con cura ciascuno di quegli oggetti non appena l’uso ne alterava l’equilibrio. Quelle dita conducevano la penna con perizia scolastica lungo le pagine mentre la sua mente triturava insieme parole, pensieri e intuizioni. 

Era un uomo sulla sessantina, esile, con una figura slanciata per quanto fosse seduto. Sul volto scavato, gli occhi chiari guizzavano schermati solo dalle lenti e dagli scatti repentini con cui sondava il terreno intorno, come a cogliere gli sguardi altrui, furtivi, curiosi della sua lettura.  Erano i miei sguardi. 
Sapeva che l’osservavo, ma preferì trincerarsi dal pericolo di una conversazione velocizzando il ritmo dei suoi gesti. Sotto il tavolo teneva i piedi stretti l’uno accanto all’altro, tesi e veloci. Era un’agitazione compunta, composta, ma  fervida. 

Per entrare in quel mondo avrei dovuto essere molto diretta, spezzare un velo sottile, quella della curiosità. “Deve presentare un libro?” Oppure sconvolgendolo del tutto e andando dritto al punto “Dove presenterà questo libro?”. Sarebbe stato divertente scoprirne la reazione, ma non lo feci. Quasi quasi, quel suo isolamento ben congegnato mi annoiava un po’. Ma così voleva e così avvenne.

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