PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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22.5.15

SegnaVIE: "Dall’immagine tesa" di Clemente Rebora





DALL'IMMAGINE TESA
di Clemente Rebora 
(Canti anonimi, 1922)


Dall’immagine tesa
vigilo l’istante

con imminenza di attesa – 

e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello

che impercettibile spande 
un polline di suono
e non aspetto nessuno: 

fra quattro mura stupefatte di spazio
più che un deserto

non aspetto nessuno:

ma deve venire,

verrà se resisto,

a sbocciare non visto
verrà d’improvviso, 
quando meno l’avverto: 
verrà quasi perdono
di quanto fa morire, 
verrà a farmi certo
del suo e del mio tesoro, 

verrà come ristoro
delle mie e sue pene, 

verrà, forse già viene
il suo bisbiglio. 



Poeta del Primo Novecento, Clemente Rebora sembra come  descrivere una fenomenologia dell'attesa e lo fa attingendo ad un'immaginario sonoro  e all'andamento ritmico scandito dalla forza di un'anafora che sembra testimoniare il senso di un ascolto fiducioso: "verrà". Animata da una forte ansia di rinnovamento interiore, nella sua lirica, considerata altissima espressione di poesia religiosa del '900, narra l'attesa dell'istante, quello in cui la Grazia di Dio si manifesta, in uno spazio interiore celato, "non visto", ma è un'attesa che si fa ascolto segnali sonori che anticipano il manifestarsi della  'presenza' salvifica della Grazia, salvifica perché libera dal giudizio perdonandoci, perché restituisce  certezza aprendoci al tesoro della fede in Dio e in se stessi, perché ristora e allevia le sofferenze. E' una salvezza che si avvicina discreta come un polline di suono, come un bisbiglio.
Mi piace pensare che per ogni uomo possa esserci uno spazio non visibile ai più, un tempo in cui sbocciare non visto, una presenza che sia ristoro, una sequela di istanti in cui  sentire anche i bisbigli più impercettibili grazie alla scelta, apparentemente semplice, di stare in ascolto.

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