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Arlequin, P.Picasso |
E' incompresa. La Crisi. La ricerca del suo etimo ci riconduce, come spessissimo accade nella lingua italiana ad una civiltà, quella greca. Fu Ippocrate, medico originario dell'isola di Kos, contemporaneo di Platone, a derivare dal verbo "krinein" (decidere, determinare) il nome "krisis" per indicare il momento cruciale in cui il guaritore era chiamato a prendere la decisione cruciale, quella che avrebbe inciso sull'evoluzione dello stato di salute del paziente. La crisi, stando alle origini, sarebbe il momento della scelta.
Eppure, oggigiorno, è in atto come una sorta di risemantizzazione nel linguaggio d'uso comune. Come ci fa notare Zygmunt Bauman nel testo "La solitudine del cittadino globale", <la parola fa venire in mente la situazione opposta: uno stato di incertezza, di irresolutezza e indecisione, provocato dal non sapere come gli eventi si stiano evolvendo e dall'incapacità di imprimere loro la direzione desiderata>. Curioso. Prosegue Bauman <si sarebbe tentati di dire che oggi la stessa idea di crisi [...] stia attraversando una crisi profonda>. Per ironia quando ci sentiamo in crisi non sappiamo come muoverci, in quale direzione, quale strada intraprendere, insomma non riusciamo a scegliere o lo facciamo ma con grande preoccupazione se non ansia. E mentre la crisi si rivela per quello che è, lo stato delle cose non speciale, non eccezionale, ma più intimo del nostro essere nel mondo, forse sta solo cadendo l'illusione del controllo. Forse la presa di coscienza che l'incoerenza, l'opacità, l'indeterminatezza appartengano alla natura del reale amplifica il valore delle nostre scelte. Rispetto al passato siamo più coscienti del rischio che comportano. Ed è a questo fatto di "coscienza" che probabilmente non siamo abituati.
<Le crisi del passato potevano essere liquidate come capitoli della lunga storia di ignoranza e stoltezza umana>. Come a dire, non è il sapere che ci salverà...
<Non si tratta di spiegare la crisi...occorre costruire una teoria degli esseri umani-nel-mondo che non assegni aprioristicamente all'incoerenza e alla mancanza di funzionalità il significato di eventi eccezionali, una teoria che incorpori nella propria descrizione dell'esistenza umana fenomeni inspiegabili in termini utilitaristici, e che perciò non hanno alcun bisogno di una speciale "teoria della crisi">.
E allora che si fa? Per i teorici si aprono certo nuove prospettive di analisi e riflessione ma per l'uomo "comune", ammesso che ne esista uno, che fare?
Mi sembra utile ricordare a tal proposito le parole di Albert Einstein che nel nostro personale percepire una crisi individua una soglia tra la notte angosciosa e il giorno generativo, tra lo sbattere la testa contro il muro e il provare ad esplorare nuove possibilità, facendone l'occasione per cercare con coraggio il nostro "meglio" .
<Non pretendiamo che le cose cambino se
continuiamo a farle nello stesso modo.
La crisi è la miglior cosa che possa accadere
a persone e interi paesi
perché è proprio la crisi a portare il
progresso.
La creatività nasce dall'ansia, come il
giorno nasce dalla notte oscura.
E‘ nella crisi che nasce l'inventiva,
le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso
senza essere superato.
Chi attribuisce le sue sconfitte e i suoi
errori alla crisi, violenta il proprio talento e
rispetta più i problemi che le soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell'incompetenza.
Lo sbaglio delle persone e dei paesi è la pigrizia
nel trovare soluzioni.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è
routine, una lenta agonia.
Senza crisi non ci sono meriti.
E‘ nella crisi che il meglio di ognuno di noi affiora
perché senza crisi qualsiasi vento è una carezza.
Parlare di crisi è creare movimento;
adagiarsi su di essa vuol dire
esaltare il conformismo.
Invece di questo, lavoriamo duro!
L'unica crisi minacciosa è la tragedia
di non voler lottare per superarla>. (Albert Einstein)
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