PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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20.6.12

iPoLLiCiNi/HandPAGE: Piacevolissima imperfezione (parte I)


di Loris Gava

Vinitaly 2012: entro nel grande bazar del vino.

Vi sono insegne illuminate che tracciano un nuovo concetto di immagine del vino, altre che designano stand fedeli all’immagine di sempre, altre che rimangono scontate e un po’ retrò  e spiegano più di ogni altra cosa l’idea di vino che hanno certi produttori.

Il mio è un pellegrinaggio sterile, senza meta, e non ho tanta voglia di darmi agli esotismi possibili di quel mare infinito. Sto lì nel più classico dei padiglioni, quello del Veneto; nuovo per coloro che vengono da fuori, non certo per uno come me, veneto da generazioni. 
Mi soffermo e degusto un vino dall’annata improponibile, non per il fatto che non sia degustabile, ma perché un ‘98 meriterebbe una sorte migliore, una presentazione idonea. Se non per la qualità intrinseca, almeno per il fascino del tempo portato alla mia attenzione.
Chi me lo serve è una giovane di bella presenza, vestita, se non ricordo male, con una sorta di tailleur nero, gentilissima, che si prodiga nel mescere queste annate mitiche senza chiedermi troppe cose. E’ molto professionale, disponibile e lo stand pullula di gente anch’essa ben vestita, concentrata, chissà, in qualche corrispondenza elettronica con un possibile grande acquirente. E’ tutto perfetto, non vi sono incongruenze. Lo stile è sobrio, la presentazione ineccepibile. Ad un tratto il mio sguardo si sofferma sull’immensa litografia retrostante che raffigura la bottaia. Il legno dei carati brilla, forse per l’effetto voluto dal fotografo. 

E’ tutto così luminoso, etereo, ben fatto. Guardo ammirato la definizione della litografia e ad un certo punto mi percuote il suono ossimoricamente visivo di una perdita di vino che inonda la parte bassa del fondo di una barrique e crea una macchia dai contorni regolari di colore vivissimo. 
Un colpo nell’occhio, come si dice, e la mia testa comincia a chiedersi, anche per l’effetto delle degustazioni, se quella imperfezione rappresenti un colpo di genio - voluto dal fotografo per insinuare il dubbio negli avventori osservatori- o una semplice e sacrosanta svista.
Non so perché, ma per me era una semplicissima e trascurabile svista che dava, però, un senso terreno e normale ad un contesto che ambiva alla perfezione.

Ah che bellezza quella macchia color porpora sul fondo del carato, a decretar che l’uomo è fallibile e forse, proprio per questo, così affascinante!
E l’imperfezione giova al vino?

Non lo so, anzi sono sicuro sia così; il grande problema è capire se questa preferenza sia condivisa.
Ma la condivisione avviene poiché vi è un “colui” che porta la propria impressione all’attenzione di altri.
Comunque sia, la condivisione risulta sempre complessa qualora ci si trovi di fronte a delle annate particolari. 
Quest’ultime sono un ossessione per coloro che “ ne sanno di vino”. Tanti dicono che sono annate mitiche che verranno stappate per il diciottesimo compleanno dei loro nipoti, altri che, di fronte allo stesso vino, parlano di perdita di tempo.

Vagando in preda a questi dubbi trovo, sempre nel padiglione 4, l’azienda Loredan Gasparini e butto l’occhio per vedere se trovo Lorenzo Palla.

Non dirò cosa penso di lui, direi cose troppo alte.
Mia impressione e ancor più mia convinzione é che lui, nel vedermi, provi una sorta di doppio brivido: il primo di piacere per il fatto che gli sto sempre alle calcagna e che quindi mi piace il suo vino, il secondo di irrigidimento in quanto, avendo un mio modo di pensare il vino, posso non essere del suo stesso avviso.
Essendo occupato lo attendo e, gentilissima, la moglie, capendo che attendevo Lorenzo, mi chiede se può versarmi qualcosa e con una cordialità frizzante aggiunge: <cosa desideri assaggiare?>, io dico: <tutto!>. Non voleva essere la solita battuta da maratoneta della degustazione, ma volevo assaggiare il suo Prosecco in quanto, conoscendolo, Lorenzo, non sarebbe stato per niente scontato, il Prosecco.
Ad un certo punto si libera dal tavolino dov'era precedentemente impegnato e mentre confabuliamo della sua esperienza friulana (produce i suoi bianchi nel Collio), mi versa il Falconera 2008. 
Il solo gesto mi aveva appiattito gli stimoli sia perché assaporavo già l’effervescenza di un prosecco immaginifico, sia perché si trattava di un 2008 che per me, e non solo per me, è considerato “l’annus horribilis” dei rossi.

Un po’ dispiaciuto lo metto al naso, sembra sia ricoperto da un po’ di timidezza, quasi a nascondersi, preambolo forse di una degustazione che si aprirà e come un fuoco di paglia svanirà, lasciando spazio ai soliti commenti del tipo “ non male”, “ per l’annata è da considerarsi interessante”, “ha bisogno di tempo”. Tutti commenti detti senza convinzione e senza volontà di incidere negativamente sull’autostima del produttore.

Ecco che si apre. <Ora farà la sua grande comparsa e svanirà nell’anonimato>, pensai laconicamente... (fine parte I).
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Ho sempre sognato di dirigere un locale, 
dove nell’angolo sorgesse un piccolo palco, ma grande abbastanza per far stare una batteria, un violoncello e un sax.
E che il giorno dopo, sullo stesso palco, 
ci fosse una sedia e 
uno sopra che legge una poesia. 
Per ora sono enologo e cerco di fare il vino per quel locale.
Loris Gava
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