PeregrINAre

Quanti aspetti racchiude in sè l’immagine del “peregrino”! La più immediata, e probabilmente la più diffusa, è quella dell’erranza, a volte con una meta, come nei pellegrinaggi religiosi, a volte senza meta, come umili vagabondi. Il peregrino va per luoghi sconosciuti, si avventura in terre straniere. Ma peregrino si dice anche di qualcosa che appare singolare, originale fino ad essere strano. Lontananza, viaggio, estraneità sono dimensioni molto vive nel mondo contemporaneo non solo per i migranti in cerca di nuove nazioni da abitare, ma anche per ogni uomo o donna che cerchi una stabilità lavorativa, sentimentale o spirituale. Siamo erranti anche quando stiamo fermi dinnanzi ad un computer che ci fa fare il giro del mondo a colpi di bit, post e download. Non ci resta che trovare un centro, una bussola che si muova con noi, non ci resta che trovare noi stessi, la nostra umanità. Possiamo progettare le nostre esplorazioni attrezzandoci di mappe e consigli altrui, ma prima o poi le zone d’ombra metteranno alla prova ogni certezza e tra dubbi e scelte ineludibili si affaccia la nostra identità, personale e professionale. Peregrinazione vuole essere un blog di informazione culturale, ma anche e soprattutto di riflessione, approfondimento e interrogazione del reale con rigore, curiosità ed entusiasmo.

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25.6.12

iPoLLiCiNi/HandPAGE: Piacevolissima imperfezione (II Parte)

di Loris Gava


II Parte.

Quello che invece accadde è che avevo davanti il bicchiere di vino più grande che avessi degustato in quel Vinitaly 2012.
Quel vino mi portò a fare un giro per il mondo e anche indietro nel tempo; mi portò lì nella zona di produzione quando quelle terre erano ancora ricoperte dal mare; sentivo note salmastre, di laguna e ancora la spezia fine e delicata come di tabacco macerato e seccato dolcemente al sole e poi ancora una mineralità tagliente, fiera, caratterizzante ma non straripante al di fuori del contesto olfattivo. In bocca eleganza, struttura esile ma verace, lunghezza e definizione. Poi il giusto esprimersi del legno che sembrava incarnato nel cuore del vino. Altro che annata sfigata, altro che bottiglia di rosso base, a me sembrava un miraggio. 

Non ci credevo, ancora un colpo di naso e di nuovo un viaggio a farmi scoprire non un altro luogo ma un’altra stagione. La frutta maturava lentamente in quella bottiglia, non sublimava nella confettura, ma signorilmente si concedeva qualche raggio di sole settembrino.
Vertigini. Non ce la facevo più a viaggiare preda di quel bicchiere: cerco di spiegarlo a Lorenzo e al prode enologo. Mi capiscono a meta; mi sforzo oltremodo di esprimere ciò che ho visto in questo viaggio e loro, con cortesia, se ne versano la giusta dose nel bicchiere, assaggiano, si accendono, ma i loro occhi non sono come i miei, stralunati dal lungo viaggio…

Assaggiamo i Rossi rimanenti, sono buoni, di più, sono grandi ma la mia testa deve portare a casa ancora tutti i sensi rubati da quel 2008.

Due giorni dopo porto da Lorenzo altri quattro bei personaggi del bicchiere, faccio stappare il 2008… non lo riconosco. Si le note speziate, la mineralità definita, ma quel viaggio che avevo fatto due giorni orsono sembrava un sogno. 
Un po’ mi deprimo, mi convinco, forse, che la precedente visita sia stata condita da un’eccezionale predisposizione o da un’incomprensibile benevolenza ma poi, come un’apparizione, mi ricordo di quella macchia color porpora che inondava il fondo della barrique.

La degustazione non è un atto preciso, ripetibile, catalogabile, ma vive di quella variabilità e di quell’empirismo che caratterizza la vita.

Quella seconda bottiglia di Falconera rappresentava dunque il vero senso del vino, del territorio, degli sforzi di uomini che ambiscono ad un gesto ideale, inscalfibile, per l’eternità, ma rimangono, come spesso accade, sospesi in uno stato di indefinitezza che, a mio dire, è il vero sale della nostra esistenza, la scossa per superare i nostri limiti o la tara che ci affossa insieme con le nostre incertezze.

Se ricorderò quella prima inebriante degustazione per tutta la vita, questo accadrà perché ve ne fu una seconda che mi diede modo di capirne l’eccezionalità; se questo vino avrà per me sempre un pensiero è perché si è macchiato indelebilmente di una piacevolissima imperfezione.


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Ho sempre sognato di dirigere un locale, 
dove nell’angolo sorgesse un piccolo palco, ma grande abbastanza per far stare una batteria, un violoncello e un sax.
E che il giorno dopo, sullo stesso palco, 
ci fosse una sedia e 
uno sopra che legge una poesia. 
Per ora sono enologo e cerco di fare il vino per quel locale.
Loris Gava
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