di Loris Gava
II Parte.
Quello che
invece accadde è che avevo davanti il bicchiere di vino più grande che avessi
degustato in quel Vinitaly 2012.
Quel vino mi
portò a fare un giro per il mondo e anche indietro nel tempo; mi portò lì nella
zona di produzione quando quelle terre erano ancora ricoperte dal mare; sentivo
note salmastre, di laguna e ancora la spezia fine e delicata come di tabacco
macerato e seccato dolcemente al sole e poi ancora una mineralità tagliente,
fiera, caratterizzante ma non straripante al di fuori del contesto olfattivo.
In bocca eleganza, struttura esile ma verace, lunghezza e definizione. Poi il
giusto esprimersi del legno che sembrava incarnato nel cuore del vino. Altro
che annata sfigata, altro che bottiglia di rosso base, a me sembrava un
miraggio.
Non ci credevo, ancora un colpo di naso e di nuovo un viaggio a farmi
scoprire non un altro luogo ma un’altra stagione. La frutta maturava lentamente
in quella bottiglia, non sublimava nella confettura, ma signorilmente si
concedeva qualche raggio di sole settembrino.
Vertigini.
Non ce la facevo più a viaggiare preda di quel bicchiere: cerco di spiegarlo a
Lorenzo e al prode enologo. Mi capiscono a meta; mi sforzo oltremodo di
esprimere ciò che ho visto in questo viaggio e loro, con cortesia, se ne
versano la giusta dose nel bicchiere, assaggiano, si accendono, ma i loro occhi
non sono come i miei, stralunati dal lungo viaggio…
Assaggiamo i
Rossi rimanenti, sono buoni, di più, sono grandi ma la mia testa deve portare a
casa ancora tutti i sensi rubati da quel 2008.
Due giorni
dopo porto da Lorenzo altri quattro bei personaggi del bicchiere, faccio
stappare il 2008… non lo riconosco. Si le note speziate, la mineralità definita,
ma quel viaggio che avevo fatto due giorni orsono sembrava un sogno.
Un po’ mi
deprimo, mi convinco, forse, che la precedente visita sia stata condita da
un’eccezionale predisposizione o da un’incomprensibile benevolenza ma poi, come
un’apparizione, mi ricordo di quella macchia color porpora che inondava il
fondo della barrique.
La
degustazione non è un atto preciso, ripetibile, catalogabile, ma vive di quella
variabilità e di quell’empirismo che caratterizza la vita.
Quella
seconda bottiglia di Falconera rappresentava dunque il vero senso del vino, del
territorio, degli sforzi di uomini che ambiscono ad un gesto ideale, inscalfibile,
per l’eternità, ma rimangono, come spesso accade, sospesi in uno stato di
indefinitezza che, a mio dire, è il vero sale della nostra esistenza, la scossa
per superare i nostri limiti o la tara che ci affossa insieme con le nostre
incertezze.
Se ricorderò
quella prima inebriante degustazione per tutta la vita, questo accadrà perché ve
ne fu una seconda che mi diede modo di capirne l’eccezionalità; se questo vino
avrà per me sempre un pensiero è perché si è macchiato indelebilmente di una piacevolissima
imperfezione.
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Ho
sempre sognato di dirigere un locale,
dove nell’angolo sorgesse un
piccolo palco, ma grande abbastanza per far stare una batteria, un
violoncello e un sax.
E che il giorno dopo, sullo stesso palco,
ci fosse
una sedia e
uno sopra che legge una poesia.
Per ora sono enologo e
cerco di fare il vino per quel locale.
Loris Gava
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